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Il calcio e la bellezza

Ci sono grosse realtà finanziarie all’esterno dell’Europa (come Cina, Medio Oriente o Giappone?) che stanno teorizzando — attraverso robuste proposte in denaro (i vertici della Fifa hanno ammesso che si è arrivati a mettere a disposizione investimenti per 21 miliardi di euro) — la creazione di tornei europei o mondiali riservati ai club. Un magnate americano, Stephen Ross, è arrivato a proporre di creare una SuperLega europea senza retrocessioni e Fair Play Finanziario, che andrebbe di fatto a sostituire la Champions League.

Proprietario della squadra di football americano “Miami Dolphins”, Ross ha già avviato trattative con alcuni tra i più importanti club europei e prevede per sé un ambizioso futuro da Bernie Ecclestone del calcio del vecchio continente. La partecipazione a questi tipi di tornei sarebbe riservata solo a club invitati e con criteri facilmente intuibili. Qualcuno dirà (come sempre) che non comprendo il futuro. Tuttavia, Tolstoj invitava in suo racconto a occuparsi solo del presente e Sant’Agostino formulò i “tre tempi del presente”, quindi sono in buona compagnia… ma fa un po’ strano vedere i dirigenti del calcio continentale tentati dal voler distruggere la principale caratteristica dello sport europeo sin dalle sue origini: la “formula open”.

Un sistema “open” che, guarda caso, è andato in crisi in alcuni sport (es. il tennis) solo per quel lasso di tempo in cui si fece la differenza tra professionisti e dilettanti. La traduzione italiana di “open” è, come si sa, “aperto”, perché i fondatori dello sport moderno avevano ritenuto che fosse giusto dare a chiunque la possibilità di gareggiare finanche contro i più forti. Era la prestazione a dover decidere il destino di uno sportivo, non un invito eventualmente giunto come una mannaia sui sogni di chi tale invito non l’aveva (e non l’avrebbe mai ricevuto). La realizzazione di uno di questi progetti di campionati per club aumenterebbe ulteriormente il divario tra i club dai budget sempre più poveri e i club dai budget sempre più ricchi, con la sempre più perdita di significato dei campionati nazionali (considerati sempre più vetusti e ingombranti dai vari aspiranti Bernie Ecclestone del calcio).

Alla bellezza è affidato il compito di ricomporre in un’unità armonica il disordine intrinseco proposto dalla realtà, rendendola capace di rilevare un senso ultimo del suo stesso caos. Il calcio moderno nasce all’interno delle università inglesi ed erano sfide tra le stanze dei dormitori di college (composte, appunto, da undici persone), che avevano una loro storia, un loro destino, una loro identità. La passione per il calcio presto si propagò per il mondo, impossessandosi dell’anima dei luoghi dove si giocava. E i luoghi erano spesso quartieri, dove sciamavano, tra sentieri di occhi, proverbi popolari, modi di dire e il rimarcare la differenza “tra noi e gli altri”.

“Siamo noi, quella della Republica Indepediente del la Boca”, sembrano dire i colori da cui è composta la maglia del Boca Juniors, a ricordare il variopinto panorama delle case del quartiere popolare della “Boca”, dove è tutto un tango e un guardare verso quel mare di cui gli abitanti di questo “barrio” di Buenos Aires si ritengono la fine. Gli splendidi racconti di Federico Buffa ci narrano delle gesta di Puskas e della sua Honved, persi in quella lingua inestricabile che è l’ungherese, piuttosto che dell’esistenza di George Best, immaginato correre felice dietro un pallone in quella Belfast percorsa da protestanti fedeli al trono d’Inghilterra e da cattolici convinti dell’esistenza della Santissima Trinità. Best trovò gloria e benessere economico nella mia Manchester, in quello United che fu la squadra dei lavoratori della compagnia ferroviaria “Lancashire and Yorkshire Railway”.

Dal 1878 generazioni di mancuniani salgono sulle carrozze del treno United , un tempo messo a disposizione da questi ferrovieri per un un viaggio dai connotati del senza fine. L’Ajax è sempre stato sinonimo del bello e anche durante l’ondata di antisemitismo presente in Olanda negli anni ‘30, ebrei e gentili avevano come punto d’incontro lo stadio dove giocavano i “Lancieri”. Il perché ce lo narra l’archivista 80 enne della squadra di Amsterdam: “Agli ebrei piacevano le cose belle, così andavano a vedere l’Ajax”. Dall’Olanda passò anche Arpad Weisz, un altro grande allenatore (già Inter e Bologna) ossessionato dalla ricerca del bello, che nell’ultimo suo rifugio da essere umano, in fuga dalle leggi razziali fasciste, allenò la piccola squadra del Dordrecht elevandola fino a un insperato quinto posto, prima di trovare la morte in una camera a gas ad Auschwitz.

Allo stesso modo, fu probabilmente la guerra civile del 1936 a ben delineare i contorni della rivalità Barcellona/Real Madrid, tra una squadra anti-franchista e desiderosa di ergersi a simbolo d’indipendenza della Catalogna da un regno a cui non ha mai sentito realmente di appartenere, e un’altra squadra sempre circondata dal sospetto di essere favorita dal Caudillo ed espressione di quell’orgoglio castigliano protagonista della Reconquista, che di fatto segnò il vero inizio del regno di Spagna. Il Bayern di Monaco nasce in uno dei tanti caffè caratteristici di della capitale della Baviera e il Celtic in una parrocchia cattolica di Glasgow: due luoghi in prima istanza così diversi, ma che hanno la stessa matrice sociale, perché sono luoghi d’incontro trasversali. Luoghi d’incontro e di formazione sono anche le scuole. Alcuni studenti di un liceo ebbero l’idea della Juventus, seguita presto da una scissione: i dissidenti usciti dalla Juventus diedero vita al Torino Calcio. Ignoro i motivi di tale scissione, ma la cosa evidente a chiunque abbia la ventura di osservare la storia delle due squadre torinesi è il delinearsi di due storie esistenziali divergenti.

Appare chiaro, quindi, come possa essere pericoloso creare prodotti artificiali (nuovi tornei avulsi dal presente perenne), il cui unico obiettivo è la moltiplicazione infinita dei fatturati, riducendo il calcio alla stessa stregua di uno spettacolo. Il serio rischio che sta correndo il calcio è quello di diventare il più popolare dei videogiochi, con trame senza senso avente il solo scopo di vendere più pacchetti tv, magliette, gadget.

Un torneo a immodificabili inviti toglierebbe il senso del vero a questo sport, facendogli perdere quella bellezza che lo ha reso grande a generazioni di uomini e donne. “Armate” di soldi si stanno schierando lungo il confine del nostro amato gioco e si stanno preparando ad invaderlo; nell’eventualità che ciò accadesse, non saremmo nel futuro del calcio, ma nello stravolgimento del calcio. Saremmo di fronte a una tale indigestione di eventi preconfezionati, da rischiare di avere crisi di rigetto. Almeno in questa parte di mondo.

Nel celebre romanzo “I ragazzi della via Pál”, due fazioni di ragazzi si contendono, in modo piuttosto cruento, un campo da gioco: nessuna delle due fazioni vuole mollare la presa e i colpi bassi si susseguono. Impegnati come sono nella lotta, i ragazzi non si accorgono di un palazzo improvvisamente costruito sul campo di gioco conteso. L’eccessiva cupidigia gli aveva distrutto la cosa più importante della vita: il desiderio di dare battaglia per le questioni in cui si crede.

Ma il grande scrittore russo, nello stesso romanzo, ha anche scritto che “la bellezza ci salverà”. Il calcio non ha bisogno delle ambizioni di uomini che con i loro soldi promettono miraggi, ma ha bisogno dei sogni dei suoi tifosi. Aveva ragione Walt Disney quando sosteneva che “ogni sogno ha bisogno degli uomini perché diventi realtà”. Attenti, quindi, a perdere il desiderio di bellezza.

Se perdiamo il senso della bellezza, allora smettiamo anche di essere, e quindi non ci rimane altro che di sopravvivere.

Articolo a cura di Anthony Weatherill (ha collaborato Carmelo Pennisi)

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